martedì, giugno 20, 2006

Da bambino ho raccontato alcune bugie

Molti mi chiedono come faccia a vivere lontano da casa e dalla mia famiglia, come faccio a sopportare l’idea di essere da solo. Non mi sento per niente solo, di questo voglio rassicurare tutti. Ho molti amici che mi vogliono veramente bene e che sono come una famiglia per me. Questo comunque non vuol dire che non mi manchino gli amici rimasti in patria, e non mi manchi la mia vera famiglia.

La domanda che mi viene spesso posta, mi ha fatto comunque riflettere e, siccome c’è sempre una ragione dietro ad ogni cosa, dopo aver pensato molto sul perché abbia sempre desiderato di vivere all’estero, non ho trovato una risposta, ma qualcosa di interessante è saltato fuori.

Sono cose molto personali, delle quali mi voglio comunque “liberare” condividendole con tutti voi. Ora che sono 32enne posso anche fare un passo avanti e centrare di più l’idea di famiglia su quella che avrò con la mia futura moglie. Ecco quindi qual è stata, nella mia infanzia ed adolescenza, la sequenza di eventi che mi ha allontanato da casa:

Da bambino ho raccontato alcune bugie. Erano bugie inutili, di un bambino viziato, dette per “ottenere” ciò che volevo o dette per “coprire” ciò di cui mi sarei vergognato. Volevo, pretendevo e prendevo anche se non avrei potuto. Ho imparato, a mie spese, quanto sbagliato fosse. All’età di dieci/undici anni ho giurato che sarei sempre stato sincero, che la fatica per sostenere una bugia raccontata era più grande di quella necessaria per raccontare la verità. I valori che i miei genitori mi hanno trasmesso sono un modello che molti dovrebbero avere. Per capirlo ho dovuto attendere. Crescendo e vedendo che il “mondo” non era tutto quanto come casa mia, ho potuto capire quante persone sfortunate vivessero a pochi chilometri da me. Ho compreso quante persone erano vittime di ingiustizie, a causa di pregiudizi, ed ho desiderato giustizia. La saggezza di mia madre e di mio padre, che non mi hanno fatto crescere sotto una campana di vetro, ma mi hanno lasciato imparare dai miei errori, mi ha permesso di scoprire e capire, da solo (sulla base dei loro insegnamenti), cosa nella vita fosse giusto e cosa, invece, non lo fosse. Aperti gli occhi e visto com’era il mondo fuori di casa, ho iniziato a ribellarmi contro ogni pregiudizio e contro ogni conformità voluta dalla società. Volevo dimostrare, a me ed al mondo che mi circondava, quanto sbagliato fosse giudicare dall’immagine. Il mondo non lo ha ancora capito, ma alla fine mi sono adeguato. All’epoca, non ancora quattordicenne, mi sentivo potente e sicuro. Accade, ad alcuni adolescenti. Questa mia ribellione ha distrutto ogni possibile comunicazione e dialogo tra me e la mia famiglia che, non potendo capire cosa mi accadeva, ha finito col non ascoltarmi più.

Forse per loro è risultato più facile credere che mentissi quando, nella mia sincera intenzione di far capire loro che un giubbotto jeans e scritte sui pantaloni non volevano dire che mi drogassi, preferivano credere alle chiacchiere di estranei, piuttosto che a me. A tredici anni, per quanto potessi sembrare adulto e vissuto, ero ancora un bambino a cui non avevano mai spiegato le storielle dei fiori e delle api, che non sapeva cosa fosse la droga, che non poteva concepire il perché di molte ingiustizie. Venire accusato di cose che non potevo capire rendeva difficilissimo, se non impossibile, ogni mio tentativo di difesa. A tredici/quattordici anni ho rinunciato a sperare di essere creduto, quando, ad un campo scout, sono stato accusato di aver fatto del sesso con una mia amica, e sono stato “allontanato”. La cosa incredibile è che non avevo ancora le idee chiare su cosa volesse dire fare sesso (nessuno me lo aveva spiegato e mai avevo avuto alcuna esperienza). Ogni sforzo per far capire ai miei genitori che si trattava di un malinteso, è stato vano. Un giovane “capo” scout, malizioso e pronto ad accusare ingiustamente un bambino, era più credibile del loro figlio. Da lì ho rinunciato a parlare con i miei familiari, era fiato sprecato. Ed ho anche voluto capire di cosa ero accusato. Di lì a poco ho fatto sesso per la prima volta, quasi per dire: “Almeno le accuse che mi fanno ora hanno una ragione di esistere”. Nell’immenso amore che mi univa alla mia famiglia, non riuscendo a far cambiare loro idea su chi ero io, ho provato a cambiare me stesso per conformarmi a ciò che loro credevano che io fossi. Ed è stato un grosso errore. Per evitare equivoci e per tenermi separato da casa, mi sono chiuso nel mondo dei computer, nello stare con una morosa che non era giusta per me, nel fare qualsiasi cosa che mi tenesse lontano - almeno con il cervello – dalla famiglia. Mio padre è morto quando avevo 20 anni, convinto che io abbia fatto sesso per la prima volta a tredici anni e che abbia fatto uso di droga. La cosa ironica è che poco dopo lo sfortunato evento degli scout, la capo scout “accusatrice” ha saputo come veramente stavano le cose, e cioè che le sue accuse erano infondate, ma mai, ad oggi, si è presa il disturbo di chiedermi scusa, o di spiegare ai miei genitori dell’equivoco! Avrei apprezzato, ma non avrebbe in ogni caso cambiato le cose.

In sogno mi vedevo mia madre, mio padre ed i miei fratelli, venire da me e scusarsi per avermi mal giudicato, ma la realtà era ben diversa: uno ad uno i miei fratelli, mi hanno approcciato cercando di estorcere una confessione su droga, prostituzione, malavita e quant’altro di male potessi essere accusato. C’è da dire che, una volta rinunciato a difendermi, lasciavo che il mondo credesse quello che voleva, su di me. E se si presentavano situazioni ambigue, mi divertivo. Guadagnavo soldi grazie alle mie capacità informatiche, acquistavo una bella moto, ed “il mondo” preferiva credere che facessi i soldi vendendo droga? Che pensassero quello che volevano. Un piccolo sorriso lo ho fatto quando ho lavorato per diverse operazioni all’unità antidroga della questura di Venezia, o quando le mie capacità informatiche sono state riconosciute pubblicamente sui giornali. Se ho preferito stare lontano da casa, prima vivendo in USA, ora vivendo in Asia, non è solamente per i lati negativi della situazione familiare in cui sono cresciuto, che comunque rappresentano, per quanto grave, solo un piccolo aspetto della invece bella ed armoniosa relazione con fratelli e genitori che mi ha permesso di avere, ad oggi, fiducia negli altri, entusiasmo nell’affrontare la vita, curiosità che mi spinge a scoprire ed imparare ed il coraggio di fare cose che non tutti sarebbero pronti a fare. Se dovessi mettere sul piatto della bilancia le colpe che hanno causato la rottura della fiducia tra me e la mia famiglia, in considerazione, comunque, di tutta la storia di casa Capodieci iniziata parecchi anni prima della mia nascita, le distribuirei alla pari, metà a me, metà alla famiglia. Guardo il lato positivo di questa situazione: ora che mi accingo, a 32 anni e dopo un paio di esperimenti falliti, ad avere la mia di famiglia, so come difendere, a spada tratta ed anche a torto, la mia futura moglie ed i miei futuri bambini.